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NEL PROGRAMMA DEL M5S ANCHE LA RIFORMA DEL TITOLO V DELLA COSTITUZIONE

Il programma per le elezioni politiche del 25 settembre 2022 è da poco stato reso pubblico. (Scaricalo qui)

Uno dei punti che trovo di maggiore interesse è la “Riforma del titolo V della Costituzione per riportare la salute alla gestione diretta dello Stato ed evitare le attuali disfunzioni dei 20 sistemi regionali, a maggior ragione emerse con la pandemia” perché è esattamente quanto ho sostenuto nella mia versione della relazione finale sul lavoro della Commissione d’inchiesta Covid-19 in Regione Lombardia.

La relazione poi era stata privata di alcune parti che non trovavano l’accordo di tutti i commissari, tra cui questa. Ma da esponente del Movimento 5 Stelle sono soddisfatto di avere indicato in anticipo la strada verso una Sanità più efficiente ed equa. Ci voleva più coraggio da parte di tutti per portarla avanti.

Ecco il testo del capitolo in questione:

I limiti della leale collaborazione tra le istituzioni prevista dal Titolo V della Costituzione

Le polemiche sorte in merito alla mancata istituzione della zona rossa nei due comuni del bergamasco e le reciproche accuse mosse tra il Governo e la Regione Lombardia in relazione all’assunzione di responsabilità per il comportamento inerte, nonché le pressioni esercitate da Confindustria, hanno messo in evidenza i conflitti istituzionali esistenti tra le regioni e il governo centrale. La regione Lombardia e il Governo si sono rimbalzati le attribuzioni, ritenendo la prima che quella decisione fosse compito del secondo, e viceversa. La regione Lombardia aveva il pieno potere e gli strumenti tecnici per istituire la zona rossa nei comuni del bergamasco e avrebbe potuto e dovuto agire in autonomia, come hanno fatto altre Regioni. Ciò che non doveva essere fatto, e che si è invece verificato in concreto, è l’assunzione di un comportamento inerte e la conseguente attribuzione ad altri di compiti propri. Tale conflitto è sintomo di un evidente problema, sia politico che istituzionale, e mette in risalto i numerosi limiti del principio di leale collaborazione – in base al quale i diversi livelli di governo devono cooperare tra di loro, poiché, nonostante le diversità di funzioni, fanno parte dello stesso ordinamento – e dell’impostazione del Titolo V della Costituzione, così come riformato dal legislatore costituzionale del 2001. Ciò che è emerso durante la situazione emergenziale è l’inadeguatezza del nostro assetto istituzionale di fronte alla gestione di una crisi pandemica. L’esperienza degli ultimi anni, dopo la Riforma del Titolo V della Costituzione, ha dimostrato come il processo decisionale condiviso tra Stato e Regioni sia faticoso e spesso inefficace. Dal 2001 ad oggi, il rapporto fra lo stato centrale e i 21 “staterelli” in cui sono state trasformate in 50 anni le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano è in costante contrasto: a risentire di tale rapporto conflittuale sono soprattutto le attività economiche e le imprese. Ciò risulta, peraltro, confermato dal fatto che dal 2010 al 2020 i sette Governi che si sono alternati alla guida dell’Italia hanno impugnato 536 leggi regionali perché in contrasto con il Governo centrale. In primis, si collocano le leggi avente ad oggetto norme in materia ambientale, seguite immediatamente dopo dalle leggi sulla sanità. In media, 1 legge regionale su 13 è stata impugnata dinnanzi alla Corte costituzionale: questo atteggiamento ha contribuito a creare un intasamento spaventoso. Negli ultimi quattro anni, il conflitto ha subito un ulteriore notevole inasprimento: basta pensare che nel 2017 sono state impugnate 55 leggi, 72 nel 2018, 86 nel 2019 e 99 nel 2020.Il riparto delle competenze legislative tra Stato e Regioni è stato profondamente modificato dalla l. cost. n. 3/2001. A seguito della riforma, la potestà legislativa risulta ripartita in materie di competenza statale esclusiva, nella quale sono elencate, ai sensi dell’art. 117, co. 2, Cost., le materie di potestà legislativa esclusiva dello Stato, materie di potestà legislativa concorrente (Art. 117, co. 3) nelle quali le regioni legiferano tramite leggi di dettaglio, nel rispetto dei principi fondamentali posti dalle leggi statali (le cd. Leggi-cornice) e materie di potestà residuale regionale generale, nelle quale vi rientrano tutte le altre materie non espressamente menzionate dai commi precedenti. L’art. 117, al co. 4, prevede, infatti che rientra nella competenza residuale regionale “ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”. Durante la crisi sanitaria generata dal Covid-19 è emersa la necessità di effettuare una riforma dell’intero Titolo V, Parte II della Costituzione, al fine di ridisegnare i rapporti Stato-Regioni, anche in considerazione della possibilità che in futuro si scatenino nuove pandemie. Il tema della gestione dell’emergenza sanitaria ha suscitato, infatti, un ampio dibattito circa i rapporti tra Stato e Regioni nell’adozione di misure di contenimento del virus e i meccanismi di coordinamento previsti dalla normativa emergenziale. In particolare, si evidenzia come, a fronte della necessità di una gestione unitaria dell’emergenza sul territorio, non sia stato rispettato il principio costituzionale di “leale collaborazione” elaborato dalla Corte costituzionale e successivamente inserito nella Costituzione con la riforma del 2001. Tale principio impone un’azione coordinata tra Stato e Regioni ed è finalizzato a realizzare, in concreto, un modello di regionalismo cooperativo. Ciò che si è verificato durante la gestione dell’emergenza è un eccessivo sacrificio di tale principio costituzionale la cui applicazione avrebbe richiesto la previsione di strumenti di forte collaborazione, in grado di ottenere il consenso delle Regioni sull’intervento statale al fine di raggiungere una più intensa cooperazione nella gestione della pandemia. I numerosi momenti di attrito fra i due livelli istituzionali hanno dimostrato che tale sinergia è venuta completamente a mancare. In buona sostanza, si può constatare come la situazione emergenziale abbia fornito in qualche modo un alibi alla non corretta applicazione del principio di leale collaborazione tra Stato e Regione nell’adozione dei relativi provvedimenti. È di tutta evidenza, peraltro, come tale impostazione costituisca un “vulnus” al modello costituzionale italiano. Il principio di leale collaborazione è essenziale per la tenuta dei rapporti Stato-Regioni e anche, più in generale, per il funzionamento di un sistema costituzionale fortemente decentrato. Pertanto, le esigenze unitarie della pandemia non giustificano la mancanza di un’effettiva azione coordinata tra i due livelli. Anzi, è soprattutto nelle situazioni di emergenza che il modello della separazione delle competenze non è funzionale, essendo necessaria un’azione coordinata tra gli enti, al fine di adottare soluzioni più efficaci, in grado di conciliare l’esigenza di decisioni accentrate che, però, tengano conto delle esigenze territoriali. Questo conflitto ha posto in evidenza il fatto che il nostro assetto istituzionale non è efficace per gestire una crisi pandemica e, forse, nemmeno per gestire le attività ordinarie. In conclusione, la pandemia ha dimostrato come il sistema delle autonomie regionali e locali, con una forte propensione verso l’autonomia regionale, non è ancora idonea ad esercitare pienamente le proprie funzioni, sia per i vincoli posti da una normativa poco chiara e ancora in via d’interpretazione da parte della Corte costituzionale e i limiti oggettivi di una classe politica che stenta a trovare momenti di coesione anche durante le emergenze di tale importanza.

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